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Cultura
Una replica autografa del Giacobbe del Ribera
di Achille della Ragione
Prima di esaminare l’inedito, che presentiamo in questo contributo, appartenente ad una importante collezione italiana, riteniamo parlare, anche se brevemente dell’autore, uno dei più grandi artisti del Seicento europeo.

Nel 1616 giunge a Napoli Jusepe Ribera che rappresenterà una delle figure più importanti del Seicento europeo; valenzano di nascita, ma napoletano a tutti gli effetti per scelta culturale, interessi familiari, affinità di sentimenti. A Napoli avrà residenza, affetti, lavoro, protezione e per alcuni anni sarà protagonista assoluto e punto di riferimento indiscusso.

La sua bottega che forgerà alcuni dei maggiori pittori del secolo dal Maestro degli Annunci ai due Fracanzano, dal Falcone a Salvator Rosa, allo stesso Giordano, sarà un punto di riferimento e di scambio culturale anche verso la Spagna, ove giungerà gran parte della sua produzione, mentre dal Murillo allo Zurbaran, fino allo stesso Velazquez, ospite del Ribera per alcuni mesi nel 1630, perverrà a Napoli l’eco della migliore pittura spagnola, il cui influsso possiamo cogliere agevolmente da un’attenta lettura di molte opere del Finoglia, del Falcone, del Vaccaro, del Guarino e di tanti altri ancora.

Le sue opere ebbero una notevole diffusione anche per la sua abilità di incisore, grazie alla quale egli riproduceva e moltiplicava le sue opere più significative.

Giunto nel maggio del 1616 a Napoli egli sposerà la figlia del pittore Giovan Bernardo Azzolino ed entrerà nelle grazie del viceré, il duca di Osuna, che diventerà il suo protettore, come lo saranno in seguito tutti i potenti di Spagna, presso i quali il suo prestigio sarà illimitato.

Egli del luminismo diede una sua personale interpretazione: il realismo caravaggesco fu infatti profondamente drammatico e sintetico, quello di Ribera fu analitico, caricaturale fino al grottesco.

Il Ribera si abbandona ad un verismo esasperato al di là di ogni limite convenzionale col suo pennello intriso di una densa materia cromatica, con un vigore di impasto che ricorda l’accesa policromia delle più crude immagini sacre della pittura spagnola coeva, segno indefettibile della sua mai tradita hispanidad, ignara dei risultati della pittura rinascimentale italiana.

Ed ecco rappresentato un infinito campionario di umanità disperata e dolente, ripresa dalla realtà dei vicoli bui della Napoli vicereale con un’aspra e compiaciuta ostentazione del dato naturale.

La sua pittura è carica di materia da poter essere paragonata ad un bassorilievo cromatico, in grado di trasformare il potente chiaroscuro caravaggesco in un’esperienza percettiva tattile. I bagliori della sua tavolozza fanno risaltare la ruvida pelle dei suoi martiri ed in egual misura lo splendore cangiante delle vesti, che a partire dagli anni Trenta segnano il recupero della lezione coloristica della pittura veneta.

Con una tavolozza accesa vengono rappresentati con enfasi appassionata e senza alcuna pietà santi ed eremiti penitenti, sadicamente indagati nella smagrita decadenza dei corpi consunti, dalla epidermide incartapecorita e grinzosa, dagli occhi lucidi e brillanti, martirii efferati e spettacolari, giganti contorti in esasperazioni anatomiche, repellenti esempi di curiosità naturali: donne barbute e bambini storpi dal sorriso ebete; tipizzazioni mitologiche spinte fino all’osceno, come la ripugnante figura del Sileno nella dilagante rotondità dell’enorme ventre pendulo; il tutto con un tono superbo e crudele e con accenti di grottesca ironia e di cupa drammaticità.

Lentamente la brutalità delle sue prime composizioni che fece esclamare al Byron che il Ribera “imbeveva il suo pennello con il sangue di tutti i santi” cedette ad una maggiore ricerca di introspezione psicologica dei personaggi e ad un lento allontanamento dal tenebrismo per approdare, sotto l’influsso della grande pittura veneziana e dal contatto con la pittura fiamminga di radice rubensiana e vandychiana, a nuove soluzioni di chiarezza pittorica e di rinnovata cordialità espressiva.

Tra i capolavori del Ribera occupa un posto di rilievo Giacobbe ed il gregge (fig.1), firmato e datato 1632 e conservato in Spagna nell’Escorial vicino Madrid.

Della tela si conoscono varie copie di bottega, come quella transitata ad una vendita Christie’s nel 1972 o quella della pinacoteca di Cosenza, ma nel caso del dipinto in esame (fig. 2), possiamo, per l’altissima qualità della composizione, parlare con ragionevole certezza di replica autografa.

L’inedito che presentiamo ai lettori appartiene alla collezione Marasini di Alessandria, della quale abbiamo già illustrato in passato interessanti dipinti di Marullo, Novelli e Cavallino e per chi volesse ammirarli basta digitare il link

http://achillecontedilavian.blogspot.com/search?q=dipinti+inediti+di+attribuzione+problematica

Il dipinto rappresenta Giacobbe in mezzo al suo gregge accanto ad una sorgente d’acqua e costituisce un momento cruciale nel percorso stilistico dell’artista, infatti si nota un cambiamento nell’uso della luce, che risente dell’influsso del Grechetto, mentre la materia pittorica, imbevuta di luce, è impreziosita da riflessi argentati eseguiti con particolare maestria.

Nella replica che presentiamo alcuni dettagli (fig. 3 - 4) sono di una qualità talmente alta da riconoscere la mano del maestro, che avrà lasciato alla sua bottega l’esecuzione di parti secondarie del dipinto.

18/4/2019
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