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Calcio
Non rubare partite e campionati
I dieci comandamenti nel calcio - 7
di Mimmo Carratelli (da: Guerin Sportivo )
Settimo, non rubare. Ehm!?! Mah! Uhm. Ah! Eh? “Ladri, ladri, siete solo ladri”. Un ritornello popolare negli stadi. Partite truccate, risultati comprati, campionati ritoccati nella terra dei cachi. Chi comanda si, chi comanda no, ma c’è sempre la partita, allo stadio ci si va, comprata si, venduta no, è la terra dei cachi. Sembra di ascoltare Elio e le Storie Tese. Calcio si, calcio no, calcio bum. Infetto si? Infetto no? Quanti dubbi irrisolti, quanti sospetti in sospeso. Perché la terra dei cachi è la terra dei cachi.

Ma qualcosa è successo se una squadra arcifamosa, arcivincente, arcitutto è finita in serie B e il suo avvocato difensore, nel consiglio di amministrazione del club, mostrò una relazione del processo sportivo sottolineando che erano stati commessi quattro illeciti e che, se le regole fossero state applicate fino in fondo, il club sarebbe sceso in serie C anziché salvarsi nel limbo della serie B.

Non è per girare il dito nella piaga e nelle pieghe del terzo e più grande scandalo del calcio italiano, ma è andata così. Tutti lo sapevano, eh? Ma nessuno parlava. Settimo, non rubare. E chi ruba? Rubo io? Ma rubano tutti. Tutti colpevoli e tutti assolti. Non andò così per Tangentopoli dopo che un popolare statista ammise di rubare, ma solo perché lo facevano tutti. L’Italia dei cachi.

Sussurra una vocina che è stato sempre così, non proprio così, non proprio sfacciatamente così, ma il calcio ha avuto sempre le sue magagne, e grosse anche, solo che non se ne parlava. Soprattutto non se ne parlava al telefono e nessuno si inseriva nelle conversazioni.

In fondo, con tutto quello che succede in giro, tre grossi scandali nel calcio italiano in ventidue anni (1980, 1986, 2006) non sono un granché. Però è più di un granché uno scudetto revocato. Ah, questa poi! La stessa vocina dice che si è voluto dare un esempio. Stavamo marciando così male, marciando nel marcio, che è stato necessario mozzare qualche testa, non tutte, per carità, non tutte, solo qualche testa e un campionato.

Ahò, ma guarda che cosa succede all’estero. Mal comune mezzo gaudio? Dice la vocina: non fare il masochista, guardati in giro, non pensare solo all’Italia, alla terra dei cachi, guarda in Portogallo, Inghilterra, Germania, Francia, Polonia e Repubblica Ceca. Andiamo a guardare.

Settimo, non rubare. Se ne infischia il Porto, se ne infischia il Boavista. La Federazione portoghese apre una inchiesta che prima si chiama “Apito Dourado”, fischietto dorato, e poi, in conclusione, “Fischio finale”. Roba recente. Un bel giro di risultati rubati e arbitri corrotti. Il Boavista, che tenta di truccare la gara col Benefica e altre due partite, viene retrocesso in serie B. Al Porto vengono inflitti sei punti di penalizzazione per avere tentato di rubare una partita, ma siccome vince il campionato con venti punti di vantaggio sullo Sporting conserva lo scudetto portoghese. L’Uefa prima lo caccia dalla Champions, poi lo riammette. Evidentemente, il fado non sussiste.

Settimo, non rubare. Germania 2004, un giro di partite truccate e rubate. Cede l’arbitro di riferimento, il leggendario Robert Hoyzer, che ammette tutto, però lo scandalo riguarda solo la Bundesliga 2 e la Regionliga. Il “fischietto” si becca la squalifica a vita e 29 mesi di carcere. Nel 1971, l’Arminia Bielefeld aveva rubato la partita con lo Schalke 04 comprandosi un po’ di avversari tra i quali anche alcuni nazionali. Klaus Fisher, Libuda e Fichtel si presero una squalifica a vita, poi ridotta a due anni perché anche in Germania tengono famiglia.

La Francia ha la puzza sotto al naso e lo scandalo sotto casa. 1993: l’Olympique Marsiglia ruba la partita al Valenciennes (1-0) e il campionato al Paris Saint Germain. Vuole vincere, e vince con un gol di Boksic senza sudare perché non vuole dannarsi. Subito dopo ha la finale europea col Milan e, in campionato, deve tenere a distanza il PSG che insegue a due punti. L’Olympique vince il campionato, ma il titolo gli viene revocato e si becca anche la retrocessione in serie B.

La Polonia anticipa l’Italia di Calciopoli. 2005: la procura di Wroclaw smaschera un giro di partite rubate, corruzione e combine, che coinvolgono 117 persone fra giocatori, arbitri e dirigenti. Fra i ladri di risultati c’è anche l’ex nazionale Dariusz Wdowczyk.

In Inghilterra, rubano partite alla squadra di un calciatore oppresso da debiti di gioco. Il furto vale 65mila euro. Il giocatore incassa e si presta facendosi espellere. Così rivela il “Sun”.

Ci sono ladri dappertutto. Anche nella Repubblica Ceca (2004), arbitri e dirigenti alla ribalta, ladri nobili. In Belgio (2006) si parla addirittura di risultati manipolati dalla mafia cinese. Occhi a mandorla che sanno dove posarsi.

Nei romantici anni Cinquanta, senza la prepotenza, l’arroganza, le cupole e i telefonini successivi, girava nel nostro bel paese “Gegio” Gaggiotti, un bresciano che portava occhialoni da motociclista, inseguito dal conte Alberto Rognoni, segugio federale che si travestiva persino da frate per smascherare i ladri del pallone. “Gegio” andava a piangere sulla tomba bresciana di Mario Rigamonti, uno dei granata periti a Superga, e poi se ne andava lungo lo Stivale a combinare furti in piena regola, partite comprate e vendute per evitare retrocessioni e bloccare qualche promozione a favore di concorrenti più generosi. Fu un periodo in cui ci furono molti furti di risultati. Gaggiotti confessò a Indro Montanelli: “Ho comprato 64 partite”. Il conto esatto delle gare truccate pare ammontasse al doppio.

Settimo, non rubare. Ci rubarono tutto negli anni del calcioscommesse portandoci via i sogni e la pulizia del calcio che ci illudevamo fosse un mondo a parte. Ci sfilavano davanti partite strane, sospette, più esattamente combinate. I giocatori puntavano al totonero truccando i risultati. Furono i tempi del ristoratore Alvaro Trinca e dell’ortolano Massimo Cruciani, i maghi maghella delle scommesse.

I giocatori della Juventus (13 gennaio 1980), in un pomeriggio di neve al “Dall’Ara”, con un’autorete di Brio regalarono il pareggio ai bolognesi che ci avevano scommesso sopra 50 milioni, combine che il portiere petroniano Zinetti aveva rischiato di mandare all’aria facendosi infilare da un tiro da lontano di Causio. Due settimane prima, la Juve s’era fatta battere in casa dall’Ascoli (3-2) e qualcuno disse che sulla quella sconfitta gli juventini ci avevano puntato sopra. Così racconta il libro di Carlo Petrini “Nel fango del pallone”. Maurizio Montesi, giocatore della Lazio, venne fuori a rivelarci: “Il calcio è truccato e corrotto”. Oh, bei minchioni che eravamo a crederlo un giardino fiorito.

Incassati i furti del 1980 e dintorni, ritenemmo d’avere superato il peggio, ma sei anni dopo fummo punto e daccapo. Il napoletano Armando Carbone, un pentito dei trucchi, si presentò al procuratore torinese Giuseppe Marabotto che aveva aperto un nuovo bubbone di furti e scommesse. Carbone rivelò: “I giocatori che si prestano alle combine scendono in campo con i calzettoni abbassati. Questo è il segno che ci stanno”.

Settimo, non rubare. Ma quanto si è rubato nel calcio? Se il football fosse stato inventato dagli arabi avremmo tanta gente con la mano destra tagliata, così come dispone Allah. Non sarebbe un bello spettacolo, ma si ridurrebbero i falli di mano a una mano sola.

“Ladri, ladri, sapete solo rubare”. E’ di moda negli stadi. Il ladro di Baghdad, da noi, avrebbe fatto una fortuna col pallone, ma è stato superato dai nipotini dei quaranta ladroni che Alì Babà smascherò davanti alla grotta di Sesamo. Il calcio italiano è una grotta di Sesamo traboccante miliardi e i ladroni, secondo i magistrati napoletani Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci, sarebbero 48. Otto in più della combriccola di banditi scoperta da Alì Babà.

6/8/2008
  
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